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martedì 29 novembre 2016

SEPARAZIONE E ASSEGNO DI MANTENIMENTO PAGAMENTO MENSILE O VERSAMENTO “UNA TANTUM”?

Ascolti avvocato, io e mio marito intendiamo separarci consensualmente; non abbiamo figli e ciascuno di noi è proprietario di un appartamento da adibire a propria residenza. Al momento, però, lui non lavora e quindi non ha redditi sufficienti per mantenersi: è proprio vero che sono obbligata a versargli una somma mensile a titolo di mantenimento? Inoltre mio marito vorrebbe avviare un’attività imprenditoriale autonoma, nel tentativo di rendersi quanto prima economicamente autosufficiente; per fare questo avrebbe necessità di poter disporre, nell’immediato, di un capitale da investire per la creazione dell’azienda e mi chiede di versargli l’importo concordato per il mantenimento, invece che mediante pagamenti mensili, in unica soluzione, mediante il pagamento di una somma da calcolarsi capitalizzando una rendita di importo pari a quello concordato. Io potrei anche disporre del capitale necessario a soddisfare tale richiesta, ma ho sentito dire che questo non è possibile …

Gentile signora, per rispondere alle sue domande in primo luogo è necessario puntualizzare che la separazione personale dei coniugi, poiché non determina ancora l’estinzione del rapporto coniugale, non sospende tutti gli obblighi che essi avevano reciprocamente assunto con il matrimonio; in particolare, non viene meno l’obbligo di assistenza materiale, espressamente indicato dall’art. 143 del codice civile. Questo è il motivo di fondo per cui, nell’àmbito della separazione personale, il coniuge economicamente più forte è ordinariamente tenuto a corrispondere a quello privo di adeguati redditi propri (e al quale non possa essere imputata la responsabilità della separazione medesima) una somma mensile a titolo di contributo al mantenimento, affinché anche il coniuge privo di redditi possa mantenere un tenore di vita analogo, per quanto possibile, a quello antecedente la separazione. Questo è quanto prevede la norma contenuta nell’art. 156 del codice civile.
In merito alla possibilità, per il coniuge economicamente più forte e previo accordo con l’altro coniuge, di assolvere l’obbligo di mantenimento mediante la corresponsione “una tantum” di una somma adeguata, occorre tenere presente che mentre essa è stata espressamente prevista dall'art. 5 (comma 8°) della legge 898/1970 (Legge sul divorzio) nel caso del divorzio, non è stata invece inserita nella norma dettata dalla novella dell'art. 156 del codice civile – che pure è posteriore (legge 151/1975) - per la configurazione dell'assegno di separazione. Proprio in base a tale discrepanza nella previsione normativa, effettivamente, l’orientamento meno recente della Dottrina e della Giurisprudenza di merito non ammetteva, in sede di separazione giudiziale, la possibilità di liquidare “una tantum” il diritto che ciascun coniuge ha, ex art. 156 c.c., di ricevere dall'altro coniuge quanto necessario al suo mantenimento, qualora egli non avesse adeguati redditi propri.
La Cassazione, dal canto suo, aveva ammesso tale possibilità, a partire quanto meno da una pronuncia del 1972 nella quale era statuito che: “Qualora tra i coniugi si convenga, con pattuizione facente parte dell'accordo di separazione consensuale, che l'obbligazione di mantenimento sia adempiuta, anziché a mezzo di una prestazione patrimoniale periodica, con l'attribuzione definitiva di beni, mobili o immobili, o di capitali in danaro, l'esecuzione di tale attribuzione estingue totalmente e definitivamente l'obbligazione”. (Cass. 25.10.1972, n. 3299).
La Dottrina e la Giurisprudenza più recenti ammettono la possibilità di liquidare in unica soluzione il diritto al mantenimento del coniuge separato, sulla base di diversi princìpi giurisprudenziali - oltre a quello della Cassazione sopra menzionato - ormai consolidati, dai quali si fa discendere, sul piano logico e su quello strettamente economico, l'ammissione del pagamento in unica soluzione. L'assenza di una previsione normativa in questo senso avrebbe la sola conseguenza che, nella separazione giudiziale, il giudice che ne venisse richiesto non potrebbe disporre un tale regolamento patrimoniale, se non vi fosse il consenso (anche soltanto tacito) della parte obbligata.
Nonostante quanto appena affermato, è opportuno tenere presente altresì alcuni princìpi, ugualmente sanciti dalla Giurisprudenza:
1)     I coniugi possono, in sede di separazione, accordarsi nel senso che il coniuge economicamente più forte versi all’altro, in luogo dell’assegno mensile, una somma una tantum. Un accordo del genere, però, non esclude che, ricorrendone le condizioni, il coniuge beneficiario possa chiedere successivamente l’attribuzione di un assegno di mantenimento in sede di divorzio;
2)     La determinazione dell’assegno di divorzio, secondo la regolamentazione datane dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, e dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, anche per accordo fra le parti, in sede di separazione;
3)     Gli accordi con i quali i coniugi intendano regolare, in sede di separazione, i loro reciproci rapporti economici in relazione al futuro divorzio con riferimento all’assegno di mantenimento sono nulli, per illiceità della causa, stante la natura assistenziale di tale assegno, previsto a tutela del coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo in sede di divorzio. Pertanto, gli accordi di separazione, dovendosi interpretare secundum ius, non possono implicare alcuna rinuncia all’assegno di divorzio.
Come già specificato prima, le parti, in sede di divorzio, possono liberamente concordare che l’obbligo di mantenimento venga assolto mediante una corresponsione “una tantum”, cioè in un’unica soluzione. Il tribunale dovrà verificare che l’ammontare dell’assegno sia equo ed adeguato. Il coniuge che riceve l’assegno “una tantum” non potrà vantare successivamente alcuna pretesa patrimoniale e, in generale, i coniugi non potranno successivamente proporre nessuna domanda di contenuto economico.
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