Segnalo questo interessante articolo in materia di legittimità di delibere assembleari. Mi sento spesso rivolgere quesiti in merito alla regolarità di delibere tese ad istituire un fondo cassa condominiale in vista di interventi straordinari ancora da eseguire.
http://news.avvocatoandreani.it/notizie-giuridiche/visualizza.php?condominio-legittimo-deliberare-istituzione-fondo-prima-lavori-48b140a65594a91601c2a4e9294bf5a2
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giovedì 15 dicembre 2016
martedì 29 novembre 2016
SEPARAZIONE E ASSEGNO DI MANTENIMENTO PAGAMENTO MENSILE O VERSAMENTO “UNA TANTUM”?
Ascolti
avvocato, io e mio marito intendiamo separarci consensualmente; non abbiamo
figli e ciascuno di noi è proprietario di un appartamento da adibire a propria
residenza. Al momento, però, lui non lavora e quindi non ha redditi sufficienti
per mantenersi: è proprio vero che sono obbligata a versargli una somma mensile
a titolo di mantenimento? Inoltre mio marito vorrebbe avviare un’attività
imprenditoriale autonoma, nel tentativo di rendersi quanto prima economicamente
autosufficiente; per fare questo avrebbe necessità di poter disporre,
nell’immediato, di un capitale da investire per la creazione dell’azienda e mi chiede
di versargli l’importo concordato per il mantenimento, invece che mediante
pagamenti mensili, in unica soluzione, mediante il pagamento di una somma da
calcolarsi capitalizzando una rendita di importo pari a quello concordato. Io
potrei anche disporre del capitale necessario a soddisfare tale richiesta, ma
ho sentito dire che questo non è possibile …
Gentile signora, per rispondere alle sue domande in
primo luogo è necessario puntualizzare che la separazione personale dei coniugi,
poiché non determina ancora l’estinzione del rapporto coniugale, non sospende tutti
gli obblighi che essi avevano reciprocamente assunto con il matrimonio; in
particolare, non viene meno l’obbligo di assistenza materiale, espressamente
indicato dall’art. 143 del codice civile. Questo è il motivo di fondo per cui,
nell’àmbito della separazione personale, il coniuge economicamente più forte è ordinariamente
tenuto a corrispondere a quello privo di adeguati redditi propri (e al quale
non possa essere imputata la responsabilità della separazione medesima) una
somma mensile a titolo di contributo al mantenimento, affinché anche il coniuge
privo di redditi possa mantenere un tenore di vita analogo, per quanto
possibile, a quello antecedente la separazione. Questo è quanto prevede la
norma contenuta nell’art. 156 del codice civile.
In merito alla possibilità, per il coniuge
economicamente più forte e previo accordo con l’altro coniuge, di assolvere
l’obbligo di mantenimento mediante la corresponsione “una tantum” di una somma
adeguata, occorre tenere presente che mentre essa è stata espressamente
prevista dall'art. 5 (comma 8°) della legge 898/1970 (Legge sul divorzio) nel
caso del divorzio, non è stata invece inserita nella norma dettata dalla novella dell'art.
156 del codice civile – che pure è posteriore (legge 151/1975) -
per la configurazione dell'assegno di separazione. Proprio in base a tale
discrepanza nella previsione normativa, effettivamente, l’orientamento meno
recente della Dottrina e della Giurisprudenza di merito non ammetteva, in sede
di separazione giudiziale, la possibilità di liquidare “una tantum” il diritto
che ciascun coniuge ha, ex art. 156 c.c., di ricevere dall'altro coniuge quanto
necessario al suo mantenimento, qualora egli non avesse adeguati redditi
propri.
La Cassazione, dal canto suo, aveva ammesso tale
possibilità, a partire quanto meno da una pronuncia del 1972 nella quale era
statuito che: “Qualora tra i coniugi si
convenga, con pattuizione facente parte dell'accordo di separazione
consensuale, che l'obbligazione di mantenimento sia adempiuta, anziché a mezzo
di una prestazione patrimoniale periodica, con l'attribuzione definitiva di
beni, mobili o immobili, o di capitali in danaro, l'esecuzione di tale
attribuzione estingue totalmente e definitivamente l'obbligazione”. (Cass.
25.10.1972, n. 3299).
La Dottrina e la Giurisprudenza più recenti ammettono
la possibilità di liquidare in unica soluzione il diritto al mantenimento del
coniuge separato, sulla base di diversi princìpi giurisprudenziali - oltre a
quello della Cassazione sopra menzionato - ormai consolidati, dai quali si fa discendere,
sul piano logico e su quello strettamente economico, l'ammissione del pagamento
in unica soluzione. L'assenza di una previsione normativa in questo senso
avrebbe la sola conseguenza che, nella separazione giudiziale, il giudice che
ne venisse richiesto non potrebbe disporre un tale regolamento patrimoniale, se
non vi fosse il consenso (anche soltanto tacito) della parte obbligata.
Nonostante quanto appena
affermato, è opportuno tenere presente altresì alcuni princìpi, ugualmente
sanciti dalla Giurisprudenza:
1) I coniugi possono, in sede di separazione, accordarsi nel senso
che il coniuge economicamente più forte versi all’altro, in luogo dell’assegno
mensile, una somma una tantum. Un accordo del genere, però, non esclude
che, ricorrendone le condizioni, il coniuge beneficiario possa chiedere
successivamente l’attribuzione di un assegno di
mantenimento in sede di divorzio;
2) La determinazione dell’assegno di divorzio, secondo la
regolamentazione datane dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, e dalla L. n. 74 del
1987, art. 10 è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, anche per
accordo fra le parti, in sede di separazione;
3) Gli accordi con i quali i coniugi intendano regolare, in sede di separazione, i loro
reciproci rapporti economici in relazione al futuro divorzio con riferimento
all’assegno di mantenimento sono nulli, per illiceità della causa, stante la
natura assistenziale di tale assegno, previsto a tutela del coniuge più debole,
che rende indisponibile il diritto a richiederlo in sede di divorzio. Pertanto,
gli accordi di separazione, dovendosi interpretare secundum ius, non possono
implicare alcuna rinuncia all’assegno di divorzio.
Come già specificato prima, le parti, in sede di
divorzio, possono liberamente concordare che l’obbligo di mantenimento venga
assolto mediante una corresponsione “una tantum”, cioè in
un’unica soluzione. Il tribunale dovrà verificare che l’ammontare dell’assegno
sia equo ed adeguato. Il coniuge che riceve l’assegno “una tantum” non potrà
vantare successivamente alcuna pretesa patrimoniale e, in generale, i coniugi
non potranno successivamente proporre nessuna domanda di contenuto economico.
www.avvocatiatorino.com
lunedì 21 novembre 2016
LA CASA BIANCA HA UN NUOVO INQUILINO! E SE AL TERMINE DELLA LOCAZIONE CI SONO DANNI ALL’IMMOBILE?
Ascolti
avvocato, il mio inquilino mi aveva comunicato regolare disdetta del contratto
e, alla data di cessazione, ci siamo trovati nell’immobile per la restituzione
delle chiavi. Non le dico! Senza la mobilia, ho potuto vedere lo stato in cui
erano ridotte le pareti dell’appartamento: ovunque aloni degli
arredi precedentemente appoggiati ai muri; in cucina e in bagno c’erano i buchi
dei ganci ai quali erano stati appesi pensili e mensole. Un vero disastro! Eh,
ma io non sono il tipo che si fa mettere i piedi in testa da nessuno, sa!? Ho
rifiutato la restituzione delle chiavi e pretendo il risarcimento delle spese
necessarie per riportare l’appartamento nello stato originario: quando glielo
avevo consegnato era un gioiellino, anche se nel contratto non eravamo stati a
specificare niente. Ho fatto bene a rifiutare le chiavi, vero avvocato?
Egregio signore, capita spesso che il proprietario di
un immobile concesso in locazione, al termine del rapporto contrattuale (magari
protrattosi per molti anni), provi una delusione assai cocente dal raffronto
tra il ricordo delle condizioni in cui si trovava l’immobile al momento della
consegna al conduttore e le condizioni in cui esso viene restituito. Tuttavia,
prima di assumere posizioni di fermo contrasto avverso quelle che potrebbero
sembrare violazioni dei propri diritti, è bene valutare attentamente le
circostanze di fatto, alla luce delle norme dettate dall’Ordinamento.
Infatti, a
norma dell’art. 1576, I comma, c.c.: “Il locatore deve
eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie, eccettuate
quelle di piccola manutenzione, che sono a carico del conduttore”.
Inoltre, a
norma dell’art. 1590 c.c.: “Il conduttore deve restituire la cosa al
locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità della
descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il
consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto In
mancanza di descrizione, si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in
buono stato di manutenzione. Il conduttore non risponde del perimento o del
deterioramento dovuti a vetustà. Le cose mobili si devono restituire nel luogo
dove sono state consegnate.”.
Sulla base di quanto previsto da queste due norme la
giurisprudenza ha stabilito che, ove l’immobile offerto in restituzione
dall’inquilino si trovi in stato non corrispondente a quello descritto dalle
parti all’inizio della locazione, ovvero - in mancanza di descrizione - si
trovi comunque in cattivo stato locativo, il rifiuto del locatore di ricevere
la consegna dell’immobile è legittimo solo laddove il conduttore abbia arrecato
all’immobile gravi danni o effettuato innovazioni non consentite, di un rilievo
tale che per la loro riparazione sia necessario l’esborso di somme rilevanti:
in tal caso al locatore spetta altresì il pagamento delle mensilità di canone fino
a quando quelle somme non siano state corrisposte dal conduttore.
Se invece la cosa locata
risulti deteriorata per non avere l’inquilino adempiuto all’obbligo di eseguire
le opere di piccola manutenzione durante il corso della locazione, e si tratti
di rimediare piccoli danni che non alterano la consistenza e la struttura della
cosa né implicano un’attività straordinaria ed economicamente gravosa (es.
vetri rotti, maniglie difettose), l’esecuzione delle opere occorrenti per il
ripristino dello status quo ante rientra nel dovere di ordinaria diligenza cui
il locatore è tenuto per non aggravare il danno, ed il suo rifiuto di ricevere
la cosa è conseguentemente illegittimo, fatto salvo comunque l’eventuale
diritto al risarcimento danni per violazione dell’art. 1590 del codice civile.
A tale ultimo proposito, tuttavia, occorre prestare particolare attenzione al
fatto che l’inquilino è tenuto a risarcire i danni per eventuali deterioramenti
e/o difformità rispetto alle condizioni in cui l’immobile era stato consegnato,
esclusivamente nell’ipotesi in cui:
- Risultino effettivamente provate in modo inconfutabile le esatte condizioni in cui l’immobile si trovava al momento della consegna all’inquilino (es. perché riportate nel contratto di locazione, meglio se corredato da fotografie allegate per formarne parte integrante) ovvero nel contratto siano state esplicitamente indicate le condizioni in cui l’immobile debba essere comunque riconsegnato (es. tinteggiatura pareti);
- Deterioramenti e/o difformità non siano conseguenti al normale utilizzo del bene per gli scopi indicati nel contratto (e a tal riguardo la giurisprudenza di merito si è pronunciata più volte nel senso che l’infissione nelle pareti di chiodi o ganci per appendere quadri od elementi di arredo, costituisca un utilizzo normale del bene immobile rispetto allo scopo abitativo per cui il contratto di locazione era stato stipulato).
domenica 13 novembre 2016
SE L’INQUILINO NON PAGA L’AFFITTO E LASCIA L’IMMOBILE POSSO CAMBIARE LA SERRATURA?
Ascolti avvocato, l’inquilino del mio immobile, moroso da diversi mesi, se ne è andato senza dire nulla e non riuscivo più a contattarlo, nemmeno telefonicamente. Il contratto prevede la risoluzione automatica in caso di mancato pagamento anche di una sola rata ed io, quando gli avevo consegnato le chiavi dell’appartamento me ne ero tenuta una copia per ogni evenienza. Visto che il contratto prevedeva la risoluzione immediata in caso di morosità, sa cosa ho fatto? Sono entrato nell’immobile con le chiavi di riserva ed ho fatto cambiare la serratura, così ho risparmiato i costi dello sfratto (mi scusi se glielo dico eh!) e sono rientrato immediatamente in possesso del mio immobile. Che ne dice, non sono stato furbo!?
Comprendo benissimo il disappunto che
può provare il proprietario di un immobile concesso in locazione nel subire il
comportamento del conduttore il quale, oltre a rendersi moroso nel pagamento
delle mensilità di canone e delle spese, ometta altresì di restituire il
possesso del locale, magari senza nemmeno più utilizzarlo.
Tuttavia, non posso fare a meno di evidenziare che le
suddette circostanze non consentono al locatore di riprendersi autonomamente la
detenzione del fabbricato. Anche se nel contratto è prevista la risoluzione
di diritto in caso di mancato pagamento del canone, occorre comunque che la
risoluzione contrattuale sia dichiarata dal Tribunale. Sarà pertanto necessario
chiedere al Giudice la convalida dello sfratto per morosità e successivamente,
ottenuta l’ordinanza di convalida, riprendere l’immobile con la presenza
dell’ufficiale giudiziario, mediante l’apposita procedura per l’esecuzione dell’obbligo
di rilascio sancito dal Giudice.
Riprendersi il possesso dell’immobile direttamente,
ovvero senza seguire questa procedura o senza un accordo con il conduttore,
significa commettere un reato. Sul tema, la Cassazione ha infatti precisato più volte che la
sostituzione della serratura (con ingresso all’interno dei locali) configura il
reato di “violazione di domicilio”,
previsto dall’art. 614 cod. pen. che dice testualmente: “Chiunque
s'introduce nell'abitazione altrui,
o in un altro luogo di privata dimora, o
nelle appartenenze di
essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo,
ovvero vi s'introduce clandestinamente o con l'inganno, è punito con la
reclusione da sei mesi a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi si trattiene
nei detti luoghi contro l'espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo,
ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
La pena è da uno a cinque
anni e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso con violenza sulle cose o
alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato.”
Alla luce di quanto sopra, sconsiglio - a coloro che
si trovino in situazione analoga - di tenere il comportamento riferito nel
quesito e consiglio, invece, di consultare, prima di assumere ogni decisione, un legale di fiducia
con il quale concertare le opportune strategie; se siete preoccupati per la spesa da affrontare per l'azione giudiziale, chiedete piuttosto un preventivo dei costi ipotizzabili e magari concordate con il legale modalità e termini per i pagamenti, sulla base delle successive fasi
procedurali che si dovranno affrontare.
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